
Giovedì 8 Gennaio 2009 - ore 21,00
CTB Teatro Stabile di Brescia - Le Belle Bandiere
Le Belle Bandiere
Con Elena Bucci, Maurizio Cardillo, Roberto Marinelli, Salvatore Ragusa, Giovanna Randi, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani
Siamo in un ambiente apparentemente tranquillo, una grande casa borghese allestita secondo i canoni del paradiso borghese: agi, comodità, fiori recisi, il pianoforte, una collezione di pistole, un grande ritratto del padre di Hedda. Anche il paesaggio umano sembra confortante: una coppia appena sposata con un promettente futuro, una zia premurosa, un amico di famiglia, un uomo che torna alla rispettabilità e al lavoro, dopo qualche sbandamento, ispirato dalla pura dedizione di una donna. Ma niente è quello che appare nella fortezza che ha fondato i suoi valori su un grande equivoco: l’elusione della morte attraverso la fede nella solidità dei beni materiali e nella protezione dall’erompere dei sentimenti attraverso maschere e convenzioni. I soldi non bastano, l’amore non c’è, si scatenano invidie e rivalità, tornano a bruciare passioni che sembravano domate dalla ragionevolezza e dalla ‘buona educazione’.
In questo “olimpo mortale” la posta in gioco è il potere di uno sull’altro guadagnato a suon di duelli. Sembra di assistere a una serie di combattimenti attuati secondo un codice di regole molto raffinato: i dialoghi, spesso a due, a volte a tre, sembrano svolgersi in una casa trasformata in elegante e menzognero ring. E i personaggi, apparentemente normali, simili a noi, acquistano nel duello una dimensione animale, che li avvicina per un attimo ai miti delle grandi tragedie.
La messa in scena ambienta dunque un vero e proprio ring: quattro angoli di una stanza da guerra in cui stanno quattro poltrone, a terra un tappeto. Fuori dal quadrato, a sinistra, un pianoforte, che suggerisce quanto di vita si sta perdendo; a destra, la collezione di armi, fonte di divertimento e morte e gioco preferito di chi vuole il potere e mai se ne accontenta. Dentro il quadrato, civilmente, non si fa altro che parlare. Al centro, in alto, nel luogo dedicato e disertato da dio, il ritratto del Generale Gabler, la cui immagine cambia continuamente, suggerendo le possibilità perdute di esistenze che hanno rinunciato al coraggio. Il grande ritratto del Padre diventa così uno specchio dove vediamo l’origine dell’inferno nel quale ci troviamo a vivere, quanto di più lontano vorrebbe un genitore per i suoi figli.
Siamo in un mondo adulto che agisce da adolescente e che tutto sacrifica alle ‘prove di forza’, senza avere la speranza di trasformarle in un atto generoso, nel dono di sè che potrebbe significare anche amore.
L’inferno è tale che, quando arriva la coscienza, non c’è altra via d’uscita che la morte, proprio quella che si voleva eludere: il suicidio di Hedda denuncia l’insopportabilità di regole di vita basate sul profitto e sullo sfruttamento reciproco ma accuratamente costruite, ideologicamente difese, criminalmente perseguite, abbellite, nobilitate. Ma in questa grande casa in cui non c’è posto né per la vita né per la morte, anche il suicidio è quasi impossibile: tutti intorno lo impediscono, immobilizzano Hedda, la imbavagliano, l’abbelliscono, per farne un immortale, ridicolo monumento alla mediocrità. Il ritratto del Padre diventerà il suo e, alla fine, quello del figlio che non avrà.
Mettere in scena Hedda Gabler oggi è come celebrare un sacrificio umano: il ‘bambino’, l’opera distrutta, non a caso forse si riferiva al futuro, come nel futuro rimane la discendenza di Hedda. E’ tutto un mondo qui, con le sue regole, che rinuncia al futuro bugiardo per capire dove sia esattamente il presente.
Ingresso € 15 intero - € 12 ridotto
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CTB Teatro Stabile di Brescia - Le Belle Bandiere
Le Belle Bandiere
Hedda Gabler
Regia Elena Bucci e Marco SgrossoCon Elena Bucci, Maurizio Cardillo, Roberto Marinelli, Salvatore Ragusa, Giovanna Randi, Marco Sgrosso, Elisabetta Vergani
Siamo in un ambiente apparentemente tranquillo, una grande casa borghese allestita secondo i canoni del paradiso borghese: agi, comodità, fiori recisi, il pianoforte, una collezione di pistole, un grande ritratto del padre di Hedda. Anche il paesaggio umano sembra confortante: una coppia appena sposata con un promettente futuro, una zia premurosa, un amico di famiglia, un uomo che torna alla rispettabilità e al lavoro, dopo qualche sbandamento, ispirato dalla pura dedizione di una donna. Ma niente è quello che appare nella fortezza che ha fondato i suoi valori su un grande equivoco: l’elusione della morte attraverso la fede nella solidità dei beni materiali e nella protezione dall’erompere dei sentimenti attraverso maschere e convenzioni. I soldi non bastano, l’amore non c’è, si scatenano invidie e rivalità, tornano a bruciare passioni che sembravano domate dalla ragionevolezza e dalla ‘buona educazione’.
In questo “olimpo mortale” la posta in gioco è il potere di uno sull’altro guadagnato a suon di duelli. Sembra di assistere a una serie di combattimenti attuati secondo un codice di regole molto raffinato: i dialoghi, spesso a due, a volte a tre, sembrano svolgersi in una casa trasformata in elegante e menzognero ring. E i personaggi, apparentemente normali, simili a noi, acquistano nel duello una dimensione animale, che li avvicina per un attimo ai miti delle grandi tragedie.
La messa in scena ambienta dunque un vero e proprio ring: quattro angoli di una stanza da guerra in cui stanno quattro poltrone, a terra un tappeto. Fuori dal quadrato, a sinistra, un pianoforte, che suggerisce quanto di vita si sta perdendo; a destra, la collezione di armi, fonte di divertimento e morte e gioco preferito di chi vuole il potere e mai se ne accontenta. Dentro il quadrato, civilmente, non si fa altro che parlare. Al centro, in alto, nel luogo dedicato e disertato da dio, il ritratto del Generale Gabler, la cui immagine cambia continuamente, suggerendo le possibilità perdute di esistenze che hanno rinunciato al coraggio. Il grande ritratto del Padre diventa così uno specchio dove vediamo l’origine dell’inferno nel quale ci troviamo a vivere, quanto di più lontano vorrebbe un genitore per i suoi figli.
Siamo in un mondo adulto che agisce da adolescente e che tutto sacrifica alle ‘prove di forza’, senza avere la speranza di trasformarle in un atto generoso, nel dono di sè che potrebbe significare anche amore.
L’inferno è tale che, quando arriva la coscienza, non c’è altra via d’uscita che la morte, proprio quella che si voleva eludere: il suicidio di Hedda denuncia l’insopportabilità di regole di vita basate sul profitto e sullo sfruttamento reciproco ma accuratamente costruite, ideologicamente difese, criminalmente perseguite, abbellite, nobilitate. Ma in questa grande casa in cui non c’è posto né per la vita né per la morte, anche il suicidio è quasi impossibile: tutti intorno lo impediscono, immobilizzano Hedda, la imbavagliano, l’abbelliscono, per farne un immortale, ridicolo monumento alla mediocrità. Il ritratto del Padre diventerà il suo e, alla fine, quello del figlio che non avrà.
Mettere in scena Hedda Gabler oggi è come celebrare un sacrificio umano: il ‘bambino’, l’opera distrutta, non a caso forse si riferiva al futuro, come nel futuro rimane la discendenza di Hedda. E’ tutto un mondo qui, con le sue regole, che rinuncia al futuro bugiardo per capire dove sia esattamente il presente.
Ingresso € 15 intero - € 12 ridotto
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